La sentenza che qui pubblichiamo, benchè pronunciata due giorni fa, ha già avuta vasta risonanza sugli organi d’informazione nazionali e locali e, per questo, è nota nel suo contenuto essenziale alla gran parte dei cittadini, anche non addetti ai lavori.
Nella sostanza, la Regione Calabria, basandosi sui dati che avevano rilevata una sensibile riduzione nel “Rapporto di replicazione (Rt)” del virus covid-19, tale da poter sostenere che questo era in fase di regressione, ha emanata un’ordinanza presidenziale con la quale, ampliando gli stretti limiti contenuti nelle norme nazionali, ha consentito il servizio anche al tavolo nei ristoranti, pizzerie, pasticcerie, agriturismi e simili, purchè all’aperto e nel rispetto di determinate precauzioni di carattere igienico-sanitario. Lo Stato ha immediatamente impugnato al T.A.R. che, sentiti informalmente i Legali delle parti, ha trattenuto subito in decisione ed ha emanato sentenza in forma semplificata (anche se di ventiquattro facciate) rigettando nel merito la domanda. Nella sentenza, piuttosto accurata sul piano giuridico, sono affrontati molti temi, da quelli di rilevanza costituzionale a quello del rapporto gerarchico tra le norme nazionali e quelle regionali riferite a una “profilassi internazionale”, a quello della legittimità del provvedimento amministrativo per imporre limitazioni alle attività d’impresa, a quello della “chiamata in sussidiarietà”, cioè l’avocazione della funzione amministrativa in uno con la competenza legislativa (dello Stato). Anche i principi “di precauzione” nell’azione amministrativa e di “leale collaborazione” tra Stato e Regioni sono stati richiamati nella sentenza, che, in definitiva, ha accolti i tre motivi di ricorso dello Stato e annullato il provvedimento. Merita rilevare che in causa sono intervenuti, a favore o contro la tesi di ciascuna delle parti, Enti pubblici, operatori privati e associazioni, quasi a livello di supporters.