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L’OCCUPAZIONE ABUSIVA DELL’AREA PRIVATA NON CONSENTE ALL’AMMINISTRAZIONE DI DIVENIRE PROPRIETARIA

La sentenza del Consiglio di Stato qui pubblicata affronta una tematica che spesso si presenta nella pratica amministrativa e cioè quella dell’occupazione e trasformazione irreversibile di un’area di proprietà privata, da parte della Pubblica Amministrazione, senza avere portato a compimento -e, in taluni casi, senza avere mai avviato- il regolare procedimento espropriativo. In una vecchia Giurisprudenza che era diventata “diritto vivente” aveva preso piede l’istituto dell'”accessione invertita” e cioè dell’acquisizione alla mano pubblica per il solo fatto dell’avvenuta trasformazione. L’evoluzione normativa e l’affermarsi di principi sacrosanti anche a livello comunitario (ove l’Italia è stata più volte censurata per il fatto di mantenere nel proprio sistema giurisdizionale un simile istituto, o altre regole affilittive per la proprietà privata) ha portato all’attuale stato della normativa e della Giurisprudenza, secondo il quale ogni atto “usurpativo” -e contrario alle regole sull’esproprio dietro giusto indennizzo- non può produrre alcun beneficio in capo alla P.A., che anzi è tenuta a risarcire i danni. Dopo numerosi travagli e varie sentenze di incostituzionalità, nell’ordinamento nazionale è stato introdotto l’art. 42 bis del D.P.R. n° 327/2001 (Testo Unico delle Espropriazioni) che consente all’Amministrazione di emanare un atto postumo di “acquisizione sanante”, ma ciò può essere fatto solo dietro indennizzo e pagamento del danno anche non patrimoniale. La mera occupazione, dunque, non può produrre alcun effetto positivo per l’Amministrazione.

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